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Sarkis, l’unica soluzione è vivere assieme – Cultura & Spettacoli

by admin
Sarkis, l’unica soluzione è vivere assieme – Cultura & Spettacoli

Il visitatore non si senta estraneo: uno specchio riflette la sua immagine quando entra al Padiglione Centrale dei Giardini, dove Hashim Sarkis, curatore della 17/a Mostra internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, dal 22 maggio al 21 novembre, in presenza, ha allestito due delle cinque Scale (aree tematiche) della mostra che chiama tutti a interrogarsi sulle nuove frontiere del vivere assieme, a partire dagli architetti “perché non siamo soddisfatti delle risposte oggi offerte dalla politica”.
    “Quando entriamo – dice – nello specchio vediamo noi” perché le domande che pone il titolo della mostra, “How will we live together?”, pensata prima del Covid e dal virus costretta al rinvio di un anno, chiedono che venga superata la separazione tra chi pensa, progetta, si interroga sugli effetti dei cambiamenti climatici, dell’economia, dello sperpero di risorse, e chi osserva.
    Il tempo impone il “dialogo” tra le diverse realtà – come ricorda il presidente della Biennale Roberto Cicutto – e le parole d’ordine per un futuro, anche post-pandemico, che paiono emergere dall’esposizione sono “collettività” o “equità”.
    Servono nuovi orizzonti che mettano da parte vecchie dicotomie e puntino a un agire che guardi nello stesso tempo alle tecnologie e alla natura, che ascoltino le diverse risposte da ogni angolo del mondo a domande comuni. Perché, a dirla con il curatore, “non possiamo vivere se non viviamo assieme sempre meglio. Il pianeta ha bisogno che lavoriamo assieme perché i problemi futuri necessitano di una cooperazione tra nazioni, istituzioni, professioni. La sola soluzione è vivere assieme”.
    Assieme non vuole dire omologazione. Proprio l’articolata varietà delle proposte messe in campo dai 112 partecipanti alla mostra, provenienti da 46 Paesi, oltre a quelle delle partecipazioni nazionali – tra cui l’Italia, intitolata “Comunità resilienti” a cura di Alessandro Melis – ben risponde all’affermazione di Sarkis che “per vivere assieme dobbiamo celebrare le diversità” in un quadro di “dialogo”. Compito dell’architetto così è quello di dare risposte nel campo che gli è proprio, quello dello spazio, però in un rapporto-incontro con altre professioni, di cui poi deve fare sintesi.
    Temi forti e concreti, che vanno oltre all’urgenza della pandemia che ha aperto mille domande sullo stare assieme, che in mostra vengono declinati in modo immersivo, coinvolgente, attraverso installazioni, video, illustrazioni di interventi in atto, di progetti realizzati o idee che sembrano toccare i registri del futuro nello spazio. Ai guanti delle tute spaziali, ai lavori che paiono toccare il tasto proprio delle arti visive, dalle mappe virtuali ai modelli o igloo, si alternano così esempi concreti di interventi in Sud America, di ripensamento sul vivere nei quartieri suburbani in una chiave di cooperazione o interrogativi su come le variazioni nei conflitti arabo-israeliani nel tempo abbiano avuto un impatto sull’uomo e la natura, in una fattoria tra Gaza ed Israele. Nel vivere assieme futuro, anche lo studio delle api può offrire indicazioni utili per la progettazione di particolari strutture architettoniche.
    Dalle cinque Scale – Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders, As One Planet – distribuite da Sarkis tra il Padiglione Centrale e l’Arsenale, sembra emergere con evidenza che gli architetti sono chiamati a prendere le loro responsabilità, a riunire e lavorare assieme a più realtà e in modo interdisciplinare con altre arti, “al fine – come dice il curatore – di risolvere problemi complessi”. Il tempo del costruire per il gusto di costruire, anche sul piano prettamente estetico-funzionale, pare obsoleto. E’ tempo di guardare ad altro, come l’esempio che arriva dal progetto speciale al Padiglione delle Arti applicate, in collaborazione con il Victoria and Albert Museum, che analizza la storia di tre moschee a Londra: una di queste una volta era una sinagoga, l’altra una palestra di pugilato. (ANSA).
   

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