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Mario Monicelli, il ‘cattivo’ maestro compirebbe oggi 106 anni – Cultura & Spettacoli

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Mario Monicelli, il ‘cattivo’ maestro compirebbe oggi 106 anni – Cultura & Spettacoli

Bisogna essere un po’ cattivi per diventare Mario Monicelli. Come si fa infatti a raccontare con tanta attenzione e precisione gli italiani se non c’è la giusta analitica perfidia, quella stessa che si vede nella commedia all’italiana? Fatto sta che Monicelli, che avrebbe compiuto 106 anni oggi 16 maggio, anche nell’uscire di scena togliendosi la vita, lanciandosi il 29 novembre 2010 da una finestra dell’ospedale San Giovanni di Roma, ha mostrato la sua indole estrema, lontana da quella italica natura del compromesso che aveva tante volte raccontato.

    Nato il 16 maggio del 1915 a Viareggio, figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso, laurea in storia e filosofia a Pisa, Monicelli aveva esordito nel cinema nel 1932 con il corto sperimentale, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore.

    Padre della commedia all’italiana insieme a Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, ha girato circa 66 film ed è autore di più di 80 sceneggiature. Fra i suoi film più famosi capolavori come Guardie e ladri con Totò; I soliti ignoti (nomination all’Oscar), La Grande guerra (1959) (Leone d’oro a Venezia); L’armata Brancaleone (1965). Gli anni Sessanta furono quelli dell’amicizia con Risi, degli scontri con Antonioni (“lui è un genio – diceva – ma a me piace fare film più comprensibili”) e nei quali inventò una Monica Vitti attrice comica ne La ragazza con la pistola (1968). Nel 1975 raccolse poi l’ultima volontà di Pietro Germi che gli affidò la realizzazione di Amici miei. Nel 1977 recuperò una dimensione noir, tragica con Un borghese piccolo piccolo.

    Arrivarono poi Speriamo che sia femmina (1985) e il sempreverde e feroce Parenti serpenti (1993). Nel 2006 tornò dietro la macchina da presa con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco, dimostrando la sua solita instancabile vitalità.

    Il regista, al quale è toccato assistere alla morte di suoi grandi amici e colleghi come Dino Risi, Steno, Luigi Comencini, Suso Cecchi D’Amico e Furio Scarpelli ma anche l’ingrato compito di commemorarli, quando era interpellato dai giornalisti, non si lasciava andare a nessuna retorica. Spesso, più che di elogi per il trapassato, arrivavano le critiche, l’ironia. Era fatto così.

    Negli ultimi anni la sua visione del mondo amara era diventata pubblica. Tra le sue ultime uscite al Viola Day di febbraio del 2010 e al primo no B day del dicembre 2009 a Piazza San Giovanni, aveva urlato ai giovani di tenere duro: “Viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro.

    Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà” ed era stato a Montecitorio con i colleghi nel luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L’Italia era per lui “una penisola alla deriva”.

    Monicelli poi, a suo modo, era un uomo d’azione, uno che si era esposto, si era sporcato le mani. Nel 1937, lo stesso anno in cui con lo pseudonimo di Michele Badiek si era cimentato per la prima volta con il lungometraggio (Pioggia d’estate) e aveva conosciuto Macario e Totò, si era avvicinato ai circoli della sinistra antifascista. Poi, cambiando idea, si era arruolato (in cavalleria), forse solo per avventura, e aveva affrontato le dure campagne d’Albania e d’Africa. Nell’autunno del ’43, infine, tornato in Italia, aveva lasciato l’uniforme fascista e a Roma aveva fiancheggiato anche la Resistenza insieme all’amico anarchico Comunardo. Molto apprezzato anche in America, Monicelli aveva ricevuto ben tre nomination all’Oscar, oltre che per I Soliti ignoti candidato come miglior film straniero, per le sceneggiature de I compagni e Casanova 70).

    Per capire almeno un po’ lo spirito caustico di Monicelli, alla Mostra del cinema di Venezia nel 2008 aveva detto senza troppa ironia: “Non vedo l’ora scompaia De Oliveira. E’ stato sempre la mia ossessione. E’ più anziano di me, più bravo di me ed e’ stato invitato anche a più festival di me”. Lo aveva detto a 93 anni parlando del maestro portoghese allora centenario.

    La morte, infine, per lui era da sfidare anche perché la conosceva bene. Raccontando nel 2007 in una intervista la morte del padre, anche lui suicida, aveva detto: “Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non e’ sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l’ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l’altro un bagno molto modesto”.

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